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Geotermia italiana: stato dell’arte e prospettive future

Con una quota pari al 58,3% di risorse importate dall’estero, il percorso europeo verso l’indipendenza e la sicurezza energetica appare, anche per il 2025, ancora in salita.

In Europa, l’Italia purtroppo registra la più alta percentuale di dipendenza dall’estero, pari al 74,8% (a differenza della Francia che, anche tramite il nucleare, può vantare la quota più bassa pari al 44,8%)[1].

In attesa che il dibattito nazionale sull’energia nucleare assuma contorni maggiormente definiti, la diversificazione del mix energetico appare dunque centrale sia nelle materie prime che nelle fonti di produzione di energia elettrica, nell’ottica di aumentare la sicurezza energetica e ridurre l’attuale esposizione alle politiche oltreconfine.

Nel 2024, la produzione nazionale netta di energia elettrica in Italia ha raggiunto 264 TWh, mantenendosi stabile rispetto al 2023. A tal riguardo la produzione da fonti rinnovabili è aumentata del 13,4%[2] rispetto all’anno precedente – anche in considerazione di livelli di piovosità superiori – confermando la tendenza alla decarbonizzazione del sistema energetico nazionale che ha visto la quota delle fonti energetiche rinnovabili (FER) sulla produzione lorda complessiva passare dal 25,5% nel 2010 al 44% nel 2023[3].

Tuttavia, negli ultimi quindici anni, le diverse fonti rinnovabili in Italia hanno seguito percorsi di sviluppo eterogenei. Tra tutte, il fotovoltaico ha registrato la crescita più significativa, passando da una produzione annua di 1,9 TWh nel 2010 a 30,7 TWh nel 2023. In confronto, l’energia eolica e le bioenergie hanno comunque mostrato notevoli progressi, aumentando rispettivamente da 9,1 TWh a 23,6 TWh e da 9,4 TWh a 16,0 TWh. L’idroelettrico, storicamente la principale fonte rinnovabile del nostro Paese, ha visto un ulteriore rafforzamento della potenza installata seppur l’effettiva energia generata sia impattata dal livello di precipitazioni verificatesi negli anni.

In tale contesto, l’energia geotermica rappresenta un unicum, con un assetto impiantistico che non ha registrato significativi cambiamenti rispetto a quindici anni fa.

Ed infatti, a dispetto del passato, con l’Italia in prima fila quale paese all’avanguardia con impianti pionieristici come quelli di Larderello in Toscana, il settore geotermico tradizionale ad oggi conta solamente 771 MW di potenza elettrica e 1.317 MW di potenza termica installata. I 34 impianti geotermoelettrici presenti in Italia, tutti localizzati nel territorio toscano e gestiti da Enel Green Power, contribuiscono[4] solo per il 2% della produzione elettrica lorda nazionale, apporto residuale a confronto con le altre FER (idroelettrico, fotovoltaico ed eolico contribuiscono, rispettivamente, al 15%, 12% e 9% della produzione elettrica del paese).

Anche spostandosi oltre confine la situazione non cambia: l’energia geotermica soddisfa solo lo 0,8% del fabbisogno energetico mondiale. Eppure, grazie all’elevato potenziale geotermico ad alte temperature oggi siamo l’ottavo Paese al mondo e il primo in UE per potenza installata[5].

In ambito europeo si sta di recente assistendo ad una rinnovata attenzione verso il potenziale apporto della geotermia alla corsa verso la decarbonizzazione; il riferimento è, in particolare, alle conclusioni pubblicate dal Consiglio Europeo il 16 dicembre 2024 e con cui è stato posto l’accento sulla necessità di elaborare un piano d’azione europeo sull’energia geotermica mettendo a punto misure mirate ad agevolare gli investimenti e favorire una rapida diffusione di tale tipologia impiantistica.

Obiettivi nazionali: vincoli di natura burocratica e prospettive future

A livello nazionale, il PNIEC prevede 1 GW di capacità aggiuntiva geotermica al 2030 tra geotermico tradizionale e ad emissioni nulle (i.e., con tecnologia a ciclo binario che consente di valorizzare le risorse geotermiche anche a temperature inferiori).

Tuttavia, se si guarda al FER2 affiora una evidente discrasia rispetto agli obiettivi nazionali, atteso che i contingenti oggetto di incentivazione prevedono appena 160 MW di cui 100 MW dedicati al geotermico tradizionale e 60 MW al geotermico ad emissioni nulle.

Inoltre, le attuali tariffe incentivanti pari a 100 €/MWh per la geotermia tradizionale ed a 200 €/MWh per la geotermia a emissioni nulle appaiono essere nettamente inferiori a quelle determinate dai nostri “vicini” europei (la Germania, ad esempio, prevede un incentivo pari a 252 €/MWh, +26% vs. quello italiano, la Francia pari a 250 €/MWh, +23% vs. quello italiano, il Regno Unito pari a 230-263 €/MWh, +25% vs. quello italiano) che prevedono, inoltre, anche il meccanismo di indicizzazione all’inflazione.

Come noto le risorse geotermiche sono risorse minerarie e, in quanto tali, appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato o delle Regioni (a seconda che siano ad alta, media o bassa entalpia) e, per l’effetto, ai fini del loro sfruttamento devono essere osservati specifici regimi amministrativi che consistono, in buona sostanza:

  • nell’ottenimento di una positiva valutazione di impatto ambientale a fini esplorativi;
  • nel rilascio di un apposito permesso ai fini della ricerca a scopi energetici delle risorse (c.d. permesso di ricerca) avente una durata massimo di quattro anni e prorogabile per non oltre un biennio;
  • in caso di positiva individuazione di fluidi geotermici, nell’ottenimento di una ulteriore valutazione di impatto ambientale preordinata al rilascio della concessione per la coltivazione delle risorse geotermiche accordata per la durata di trent’anni;
  • nell’ottenimento dell’autorizzazione unica come ridefinita dal recente D.Lgs 190/2024 (c.d. “TU Rinnovabili”).

È sufficiente tale schematico elenco per comprendere che tra le ragioni sottese all’odierna sfiducia nei confronti dell’energia geotermica c’è sicuramente anche la considerevole complessità e frammentarietà del comparto permitting preordinato allo sviluppo di tale fonte.

Basti infatti pensare che quelli sopra citati sono unicamente i titoli abilitativi di natura principale a cui sono da aggiungersi i pareri ed i nulla osta “ancillari” da ottenere nel contesto dei singoli procedimenti, tra cui i pareri e le autorizzazioni della Soprintendenza e degli enti locali che, anche su impulso dei c.d. “Comitati del No”, si rivelano di sovente, come ampiamente osservato in relazione al settore fotovoltaico ed eolico, ostativi o ritardano considerevolmente il “via libera” alla realizzazione dei progetti in questione.

In tale contesto, sarebbe innanzitutto auspicabile un alleggerimento dei tempi ed oneri burocratici a carico degli investitori mediante la riduzione del margine di discrezionalità esercitabile in sede di rilascio della concessione, nell’eventualità di esito positivo delle perforazioni esplorative assentite con il permesso di ricerca; ad esempio tramite lo snellimento della ulteriore procedura di VIA e l’identificazione di una un unico interlocutore amministrativo che si occupi della governance e del coordinamento del settore.

Ancora, in coerenza con quanto disposto dal recente Testo Unico Rinnovabili, potrebbe essere di particolare importanza l’identificazione di aree idonee o zone di accelerazione con l’obiettivo di fornire a priori ai soggetti interessati una mappatura delle aree potenzialmente ascrivibili ad attività di ricerca nell’ottica di salvaguardare i considerevoli investimenti correlati alle perforazioni funzionali all’identificazione di fluidi geotermici.

In altre parole, il rilascio del permesso di ricerca dovrebbe automaticamente (e ragionevolmente) preludere al rilascio della conseguente concessione, fornendo un parametro di certezza in ordine ai tempi ed esiti dei relativi procedimenti, al fine di non rendere vani i notevoli investimenti sostenuti dagli operatori già in sede di ricerca.

Il versante economico: analisi comparata con le altre FER

Passando dal piano normativo al versante economico si constata altresì come la fonte geotermica risulti, allo stato attuale, mediamente più onerosa rispetto alle energie rinnovabili più diffuse. Infatti, seppur il costo dell’energia geotermica (LCOE) è fortemente dipendente dalle caratteristiche dello specifico sito, questo si attesta in media pari al doppio di quello dei più diffusi fotovoltaico ed eolico (LCOE pari a ca. 77 $/MWh vs ca. 44 $/MWh per fotovoltaico utility scale e ca. 33 $/MWh dell’eolico on shore)[6].

L’elevato costo della generazione geotermica è principalmente attribuibile all’investimento iniziale, che rappresenta da solo l’80% del costo livellato dell’energia. Inoltre, la fase di pre-sviluppo dell’impianto è caratterizzata da alti rischi, dovuti non solo alla complessità e durata delle procedure di autorizzazione, ma anche alla disponibilità di dati geologici affidabili e al numero di pozzi di prova necessari prima di procedere con la costruzione della centrale. Questa incertezza comporta un elevato costo del capitale, che riduce sensibilmente la competitività della generazione geotermica rispetto ad altre fonti.

A tal proposito, al fine di supportare lo sviluppo del geotermico, risulta fondamentale prevedere, oltre a meccanismi di incentivazione che garantiscano la certezza dei ricavi a lungo termine, anche misure di mitigazione del rischio nella fase iniziale di sviluppo del progetto.

In questa direzione diversi Paesi europei stanno implementando incentivi e misure di de-risking a supporto dello sviluppo di progetti geotermici. È il caso della Francia, che ha istituito un fondo di garanzia per tutelare le operazioni di perforazione dei pozzi esplorativi e supportare gli sviluppatori in caso di insuccesso, allocando 195 milioni di euro, e della Spagna, che nel 2023 ha lanciato un finanziamento da 120 milioni di euro per investimenti di pozzi profondi per progetti geotermici, prevedendo un rimborso fino all’80% nel caso di assenza della risorsa geotermica. Ispirandosi al modello francese, tali strumenti devono prevedere una compensazione per gli sviluppatori dei progetti geotermici, condizionata al successo/fallimento della perforazione del primo pozzo esplorativo.

Tali meccanismi di incentivazione appaiono oggi più che mai necessari per sostenere la sperimentazione di tecnologie geotermiche innovative quali i sistemi geotermici migliorati e i sistemi geotermici a circuito chiuso/avanzati (EGS e CLGS/AGS[7]). Queste tecnologie, a differenza dell’approccio tradizionale, permettono la produzione di energia pulita indipendentemente dalla presenza di giacimenti idrotermali naturali, aprendo la strada ad una loro potenziale applicazione universale in futuro.

Nonostante i significativi vincoli tecnici ancora non completamente superati ed i costi elevati delle nuove tecnologie geotermiche (LCOE superiore ai 230 USD/MWh), le prospettive future per la geotermia sono promettenti, grazie anche alle potenziali sinergie con l’industria petrolifera. L’applicazione delle tecnologie e delle competenze sviluppate nel settore petrolifero potrebbe infatti consentire una riduzione significativa dei costi della geotermia, sia tradizionale che di nuova generazione. A tal proposito si stima che il LCOE potrebbe scendere a circa 50 USD/MWh entro il 2035 e a circa 30 USD/MWh entro il 2050, rendendo le applicazioni geotermiche tra le più competitive. In tale scenario, la geotermia di nuova generazione, grazie alla sua versatilità di applicazione, potrebbe contribuire fino al 15% della produzione elettrica mondiale entro il 2050[8].

Le innovazioni tecnologiche e le sinergie con l’industria petrolifera potrebbero quindi offrire l’opportunità di superare le attuali sfide economiche e tecniche, rendendo la geotermia una delle fonti più competitive e versatili del mercato rinnovabile.

Conclusioni

La sfida non è, ad ogni modo, solo la decarbonizzazione ma anche affrontare temi legati all’industria e alla tecnologia. La geotermia, come testimoniato dalla spinta agli investimenti soprattutto negli Stati Uniti con Meta e Google in testa, può infatti rappresentare uno strumento cruciale per alimentare i significativi fabbisogni dei data center conciliando così transizione digitale e sostenibilità climatica. Entrambi target che non potranno, tuttavia, concretizzarsi in assenza di una altrettanto importante e complessa transizione burocratica e politica tramite l’introduzione di adeguate semplificazioni autorizzative, politiche incentivanti e misure di mitigazione del rischio funzionali ad un nuovo slancio di una fonte, ad oggi, purtroppo, ancora insufficientemente esplorata.

[1] Dato Eurostat 2023 “Energy imports dependency”, i.e., rapporto tra le importazioni nette e l‘energia disponibile lorda intesa come l‘approvvigionamento totale di energia per tutte le attività sul territorio dell’eurozona/paese considerato.

[2] Dati tratti da comunicato stampa Terna del 16/01/2025: “Terna: nel 2024 consumi elettrici in aumento del 2,2%”.

[3] Dati tratti da Rapporto Statistico GSE del 23/01/2025 “Energia da FER in Italia – anno 2023”.

[4] Dati 2023 provvisori tratti dalla “Relazione Annuale ARERA 2024”.

[5] Dati tratti da “Renewable Capacity Statistics 2024” di IRENA (International Renewable Energy Association).

[6] Dati tratti da “Renewable power generation costs 2023” di IRENA (International Renewable Energy Association).

[7] EGS: “Enhanced/Engineered Geothermal Systems”; CLGS/AGS: “Closed-Loop Geothermal Systems”, anche detti “Advanced Geothermal Systems”

[8] Dati tratti da “The Future of Geothermal Energy” – International Energy Agency (IEA).

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Edoardo Scornajenghi

Director | Energy, Utilities & Resources, PwC Italy |  + posts

Francesca Isgrò

Legal Partner, PwC TLS |  + posts